Lavorazione dello speck a Cortina d'Ampezzo
Dublin Core
Titolo
Lavorazione dello speck a Cortina d'Ampezzo
Descrizione
L’unico sistema per conservare la carne senza farla ghiacciare è quello di metterla sotto sale, aspettare che espella l’acqua, asciugarla e affumicarla. Ogni paese aveva il suo metodo per fare questo lavoro. Qui in Ampezzo oltre al sale si aggiungevano anche pepe, aglio, bacche di ginepro, erbe aromatiche e altro; quello che si otteneva prendeva il nome di còncia.
Ogni casa aveva la sua e ognuno era convinto di aver trovato l’ingrediente segreto per la còncia migliore… Bisognava macellare gli animali gli ultimi giorni di luna calante perché altrimenti la carne rilasciava troppa acqua; i tagli di carne, dopo averli riempiti di còncia, venivano messi in un mastello di legno con un buco sul fondo chiuso da un tappo con manico lungo. Tra i pezzi di carne si mettevano dei rami di ginepro per tenerli divisi e venivano girati, cambiandoli di posto, una volta al giorno. L’acqua rilasciata dalla carne e mescolata con la còncia prende il nome di salamoia; quest’ultima veniva tolta quotidianamente aprendo l’apertura sul fondo e, dopo aver nuovamente richiuso il recipiente di legno, veniva posta sopra la carne.
Se la carne era grassa doveva rimanere nel mastello per almeno una settimana, altrimenti se magra bastavano pochi giorni. Una volta tolti i pezzi di carne dal contenitore venivano asciugati appendendoli con dei ganci ad una sbarra collocata in un locale fresco e arieggiato. Asciugata completamente la carne si passava all’affumicatura; il fumo, se fatto con rami di ginepro, oltre a dare alla carne un buon sapore teneva lontane anche le mosche. Per affumicare lo speck era necessario un locale chiuso e costruito in modo da poter mettere sul pavimento della brace senza che questa lo incendi. Bastavano poche ore di fumo per ottenere il prodotto completo.
Ogni casa aveva la sua e ognuno era convinto di aver trovato l’ingrediente segreto per la còncia migliore… Bisognava macellare gli animali gli ultimi giorni di luna calante perché altrimenti la carne rilasciava troppa acqua; i tagli di carne, dopo averli riempiti di còncia, venivano messi in un mastello di legno con un buco sul fondo chiuso da un tappo con manico lungo. Tra i pezzi di carne si mettevano dei rami di ginepro per tenerli divisi e venivano girati, cambiandoli di posto, una volta al giorno. L’acqua rilasciata dalla carne e mescolata con la còncia prende il nome di salamoia; quest’ultima veniva tolta quotidianamente aprendo l’apertura sul fondo e, dopo aver nuovamente richiuso il recipiente di legno, veniva posta sopra la carne.
Se la carne era grassa doveva rimanere nel mastello per almeno una settimana, altrimenti se magra bastavano pochi giorni. Una volta tolti i pezzi di carne dal contenitore venivano asciugati appendendoli con dei ganci ad una sbarra collocata in un locale fresco e arieggiato. Asciugata completamente la carne si passava all’affumicatura; il fumo, se fatto con rami di ginepro, oltre a dare alla carne un buon sapore teneva lontane anche le mosche. Per affumicare lo speck era necessario un locale chiuso e costruito in modo da poter mettere sul pavimento della brace senza che questa lo incendi. Bastavano poche ore di fumo per ottenere il prodotto completo.
Autore
Museo Etnografico Regole d'Ampezzo
Fonte
Tratto dal libro "Animali, campi, lavori"
Data
Metà '900 circa - testi mostra temporanea invernale 2021-22
Relazione
Vivere DAL territorio
Collezione
Citazione
Museo Etnografico Regole d'Ampezzo
, “Lavorazione dello speck a Cortina d'Ampezzo,” Patrimonio - Museo Dolom.it, ultimo accesso il: 21 novembre 2024, https://patrimonio.museodolom.it/items/show/5767.