In un territorio piuttosto avaro come quello delle Dolomiti, l’uomo fin dai secoli scorsi ha sfruttato quella che era la materia prima più diffusa: il legno. Unito alla manualità delle genti montane, il legno è diventato una risorsa economica per integrare il bilancio familiare o, in alcuni casi, unica fonte di sostentamento.
Tra le molte attività che gravitavano attorno a questa materia prima vi era il commercio ambulante di piccoli manufatti in legno. Dhì a girè (lasciare il paese per andare a vendere) come viene chiamato a Erto e fòra pal mònt a Claut, a le basse a Cimolais, ha avuto il suo culmine nel corso del 1800 e ha anche costituito l’antica forma di emigrazione della Valcellina e di quelle limitrofe.
D’inverno, nelle case risuonavano i colpi d’accetta per dare forma agli oggetti: era questa la stagione durante la quale gli uomini preparavano il carico che sarebbe poi stato venduto. Qualcuno, per poter avere più materia prima, sgrezzava gli oggetti ancora nel bosco per poi rifinirli a casa, così aveva più pezzi e meno ingombro al ritorno. Naturalmente questo richiedeva una conoscenza profonda degli alberi: l’acero, per esempio, era quello più adatto per i cucchiai, perché non s’impregna di odori e quindi va bene in cucina:"Mio padre faceva pestasali, mestoli da polenta, mattarelli, peverine, dopo portauova, i fusi, quello per mettere il ferro della calza, cannole per le botti del vino, cose così. Invece i cucchiai è a Clautche che li facevano, si andavano a comprare a Claut, le sedoni, i guciari a Claut. E a Erto facevano le forchette di legno."
In casa bastavano pochi attrezzi: il coltellino, l’accetta, le sgorbie e due sole macchine. La tornarètha, il tornio per realizzare ciò che prendeva forma tonda come il pestasale e la banscia da dolè, la morsa per gli oggetti lunghi: cucchiai, mestoli e gottazze.
Giungeva infine l’ora di caricare il carretto con tanti sacchi pieni di oggetti di legno. C’erano anche i pochi indumenti, qualche tegame, le coperte, la cassettiera, i cesti e la gerla.